Regime speciale per contribuenti minimi. Mozione a favore delle giovani partite IVA

Di Giampaolo Fogliardi (deputato Partito Democratico)

 

Lunedì (27 febbraio, ndr) sono stato relatore in Aula per la mozione a favore dei giovani con partita IVA, i cosiddetti “contribuenti minimi”.
Si tratta di una platea di oltre 500.000 contribuenti, per lo più giovani al primo lavoro, disoccupati, piccoli imprenditori che avevano intrapreso con entusiasmo la strada imprenditoriale e che ora improvvisamente si trovano di fronte alla terribile sorpresa di un trattamento fiscale e amministrativo capestro per le loro possibilità e i loro programmi.

In base al testo approvato, il Governo risulta, tra l’altro, impegnato ”ad assumere iniziative normative volte ad ampliare la platea dei beneficiari del regime speciale per i contribuenti minimi, in modo da continuare ad esonerare questi soggetti dall’applicazione dell’iva e degli studi di settore; reintrodurre un’imposta sostitutiva dell’Irpef e delle addizionali, in linea con la prima aliquota dell’Irpef; prevedere l’indicazione in dichiarazione di informazioni di struttura d’impresa minime, per evitare di fare entrare nel regime soggetti non propriamente marginali.

La mozione va incontro alle esigenze di tutti quei contribuenti che hanno usufruito delle disposizioni della legge 244/2007 con un regime agevolato che prevedeva una tassazione del 20% , l’esenzione dall’ IRAP e dagli studi di settore, franchigia IVA, semplificazione degli adempimenti e che ora, in virtù della recente legge n. 111 del luglio 2011, entrata in vigore dal 1 gennaio 2012, si sono visti privati di quella normativa di favore, rientrando pertanto nel rispetto di tutte le disposizioni ordinarie.

La mozione è stata approvata all’unanimità, il Governo ha condiviso, e la situazione dovrebbe risolversi presto permettendo a tanti giovani e piccoli contribuenti di dedicarsi ad altri problemi, che purtroppo in questo periodo non mancano.


Che fine ha fatto il quid di Alfano?

Finita la commedia del quid, fatte le sparate necessarie a lisciare il pelo degli elettori della destra, il presidente del Consiglio Mario Monti ha telefonato ieri ad Alfano annunciandogli la convocazione di un incontro per giovedì sera anche con Casini e Bersani per parlare di tutto, lavoro, crescita, ma anche corruzione e Rai. Tutti temi sui quali da giorni i fucilieri del Pdl si sono esercitati contro Bersani per dire che queste cose non rientrerebbero negli obiettivi del governo Monti. E invece l’ha avuta vinta il Pd, perché il ddl anticorruzione (secondo la Corte dei conti l’Italia perde 60 miliardi l’anno di soldi pubblici per questa ragione) deve essere rafforzato e perché la Rai è un’azienda pubblica e sta andando in malora. Ieri è stato respinto il ricorso di Augusto Minzolini contro l’allontanamento dal TG1 e il Pd ha confermato: senza una riforma della governance il Pd non parteciperà alle nomine, il che significa che l’intera responsabilità di quel che verrà deciso ricadrà sul governo.
E’ possibile che nell’incontro di giovedì sera si parli anche di frequenze: scongiurata l’assegnazione gratuita che il governo Berlusconi aveva cucito addosso a Mediaset, il Pd lavora per scongiurare un’asta al ribasso. Secondo Mediobanca, quelle frequenze varrebbero ben più di un miliardo di euro.


Quale futuro per l’impresa in Italia?

Intervista a Matteo Colaninno, deputato, imprenditore ed ex presidente dei giovani industriali, a cura di Antonino Leone pubblicata su Sistemi e Impresa n. 2 – febbraio 2012

 

Quale futuro per l’impresa in Italia?

L’impresa italiana può dare un notevole contributo per uscire dalla crisi economica e finanziaria. Occorre utilizzare i fattori più adeguati  per migliorare la posizione competitiva delle imprese italiane nel panorama internazionale. Di questo argomento ne abbiamo parlato con Matteo Colaninno, il quale è parlamentare e membro della commissione attività produttive e possiede una rilevante esperienza nel mondo imprenditoriale.

Peter Drucker asseriva negli anni ‘70 che l’obiettivo dell’impresa non è la massimizzazione dei profitti. Nel terzo millennio qual è  la funzione sociale dell’impresa?

Drucker, unanimemente riconosciuto come un guru del management, aveva una straordinaria capacità di visione. Oggi possiamo considerare il suo messaggio ancora attuale, poiché la massimizzazione dei profitti o la creazione di valore per gli azionisti non possono essere obiettivi unici e assoluti nel tempo e la crisi che stiamo attraversando lo dimostra. L’approccio dello “shareholder value” che ha dominato il mondo manageriale negli anni più recenti si è infatti dimostrato inadeguato rispetto alla crisi, perché attribuendo un’enfasi eccessiva ai risultati (finanziari) di breve periodo mette in discussione il pilastro fondamentale della continuità aziendale, che certamente poggia anche sulla redditività e sulla solidità aziendale. Lo scenario del dopo crisi richiederà una gestione aziendale orientata alla capacità di adattamento e di innovazione, alla responsabilità sociale. Un’attenzione non più focalizzata esclusivamente sugli interessi degli azionisti, ma diffusa a tutti gli “stakeholders” rappresenta il passaggio decisivo per una rinnovata funzione sociale dell’impresa.

Nel periodo della rivoluzione industriale bastava produrre per conseguire il successo dell’impresa. Oggi invece il successo di un’impresa deriva da tanti fattori interni ed esterni.  Quali sono i fattori più rilevanti per il successo di un’impresa?

La capacità competitiva di un’impresa dipende da un “mix” di fattori, il cui peso può variare sensibilmente nel tempo o da settore a settore. Certamente, guardando anche alle imprese capaci di reagire alla crisi non solo in chiave di resistenza passiva, ma addirittura invertendo la tendenza, molto rilevanti appaiono la capacità di investire in innovazione, la qualità del capitale umano e la proiezione sui mercati globali.

Il sistema economico e sociale di un paese influisce sulla posizione competitiva dell’impresa. Quali sono i punti di forza e di debolezza del nostro sistema che influenzano la vitalità e la crescita delle imprese?

Tradizionalmente, l’impresa italiana ha potuto contare su punti di forza come lo spirito di iniziativa, la grande operosità delle persone e il forte legame con il territorio di appartenenza, che hanno determinato la nascita e il successo di un modello imprenditoriale unico. Un risultato eccezionale, raggiunto nonostante i grandi limiti evidenziati dal sistema Italia nel suo complesso: burocrazia eccessiva, carico fiscale e contributivo elevato, deficit infrastrutturale, una finanza per l’impresa del tutto inadeguata. Non possiamo sottovalutare oggi la fragilità del nostro sistema industriale dinanzi alla crisi, né tantomeno le ristrutturazioni aziendali necessarie per ritrovare competitività in uno scenario profondamente diverso rispetto a quello ante 2008.

L’imprenditore a quali fattori interni all’impresa deve porre attenzione per adattare l’impresa ai cambiamenti del mercato?

Non vi è dubbio che i cambiamenti vadano possibilmente anticipati, per evitare pericolosi effetti di spiazzamento rispetto alle previsioni. Se ci riferiamo a cambiamenti di mercato comparabili a quelli devastanti fatti segnare dalla crisi in corso, allora diventano determinanti una dose di flessibilità del ciclo produttivo rispetto a bruschi cali della domanda da un lato e una gestione attenta del capitale circolante per prevenire la “sofferenza” finanziaria, come purtroppo è invece avvenuto per tantissime imprese finite poi in “default”.

Le imprese italiane fanno molto ricorso alle assunzioni precarie per abbassare i costi del personale ed adattare con facilità il proprio organico alla congiuntura. Nel contesto globale la competitività di una impresa può essere realizzata diversamente e con quali elementi?

Una corretta dose di flessibilità del lavoro è essenziale per l’impresa, ma trovo illusorio che un certo abuso di questa leva possa condurre a qualcosa di differente dal rischio di precarizzazione dell’impresa stessa e della società intera. Al contrario, un’impresa che voglia competere seriamente nel contesto globale non può prescindere da un capitale umano di qualità. Ma altrettanto determinanti sono le risorse finanziarie a servizio degli investimenti – sempre più funzionali a una strategia di internazionalizzazione sotto forma di insediamenti produttivi nei Paesi a più alta crescita – e una costante attenzione al rapporto qualità-prezzo del prodotto, a causa di un consumatore medio divenuto molto esigente nei Paesi occidentali.

In questo momento di crisi non è facile per lo Stato trovare risorse ingenti da investire a favore del sistema imprese e nello stesso tempo non è facile attrarre investimenti esteri. Quali sono i motivi che non favoriscono gli investimenti esteri in Italia rispetto agli altri paesi?

La bassa attrattività dell’Italia rispetto agli investimenti esteri è un dato ormai acquisito, che potrebbe risentire anche della decisione di alcuni gruppi stranieri di abbandonare – a torto o a ragione – il nostro Paese nel corso di questi ultimi anni. Le cause dello scarso “appeal” italiano sono numerose e ampiamente analizzate ogni anno dai report elaborati da istituzioni finanziarie e “think tank” di indubbio prestigio e affidabilità. L’Italia è percepita in media come un Paese difficile per “fare business”, a causa di un sistema costoso, poco flessibile e scarsamente efficiente. Sarà difficile rovesciare questa idea fino a quando, ad esempio, non verranno drasticamente ridotti i tempi necessari a tutelare un contratto (1.210 giorni, a fronte dei 518 giorni della media OCSE) e i costi legali, pari al 30% del valore di una causa (in Germania sono la metà).

Quali sono i provvedimenti più efficaci adottati del governo Monti a favore delle imprese?

Il governo Monti già nel “salva Italia” ha previsto alcuni interventi molto utili: la deducibilità dell’Irap dall’Ires, l’irrobustimento dei fondi di garanzia per le PMI e la misura dell’ACE (allowance for corporate equity) per incentivare una maggiore capitalizzazione delle imprese, storicamente caratterizzate da una “leva” eccessiva rispetto al capitale di rischio. Le prime indicazioni in tema di riforma fiscale vanno nella giusta direzione e dobbiamo augurarci che, dopo le persone fisiche, arrivino provvedimenti funzionali all’abbassamento della pressione fiscale e contributiva che grava sulle imprese e sul lavoro.

Quali prospettive di riforma per il mercato del lavoro?

È purtroppo facile ipotizzare che il lavoro almeno per quest’anno sarà ancora in sofferenza, con rischi di ulteriore perdita di occupazione, non solo a causa della recessione economica, ma anche delle ristrutturazioni aziendali a cui ho fatto cenno in precedenza. Guardando alla trattativa in corso sulla riforma del mercato del lavoro, la priorità spetterebbe dunque agli ammortizzatori sociali e alle tutele per i lavoratori. Il dibattito, invece, si è finora concentrato in maniera esagerata sull’articolo 18, che non pare in realtà rivestire un ruolo così determinante perché una maggiore libertà di licenziamento non si traduce affatto in un rilancio dell’occupazione. L’auspicio è che le parti sociali e il governo trovino una sintesi equilibrata, per approvare una riforma certamente utile e importante in un clima di coesione oggi ancor più essenziale del passato per il nostro Paese.


Trasporti, fallimento Lega e PDL.

Trasporto pubblico locale, fallimento totale di Lega e PDL. La soluzione proposta?
Studenti a casa al sabato e aumenti tariffari del 15% sulla Peschiera-Verona

Nell’incapacità di garantire i servizi minimi al trasporto pubblico locale, il centrodestra al governo tanto in Provincia quanto in Regione evidenzia il totale fallimento delle sue politiche dei trasporti e non solo.
Si parte dalla fantasiosa idea dell’Assessore provinciale Mazzi di cambiare il calendario scolastico lasciando gli studenti a casa da scuola il sabato, non tanto per migliorare l’offerta scolastica ma perché sono finiti i soldi e la Regione non riesce a pagare il servizio di trasporto. Grave inoltre il rischio per i lavoratori ATV, che con i tagli dei servizi rischiano di subire impatti negativi sull’occupazione.

Si passa alla delega data alla Regione per bandire la gara per il trasporto pubblico locale, dopo che questa non non riesce a garantire i finanziamenti dei servizi minimi, come già denunciato dal Pd in Consiglio Provinciale.

Oltre a tutto questo si aggiunge un fortissimo rincaro sulla tratta Peschiera-Verona, dove il servizio dell’Atv viene integrato dall’azienda dei trasporti bresciana, la Saia. La giunta provinciale di Verona ha deliberato un nuovo insostenibile aumento della tariffe extraurbana per i cittadini di Peschiera che dal 1°marzo si vedranno rincarare l’abbonamento mensile sulla linea Peschiera-Verona di quasi il 15%. Si tratta di una decisione discriminatoria, perché per il servizio integrato Atv/Saia i cittadini di Peschiera pagano già una tariffa maggiorata del 15% circa. E vessatoria, perché è ormai chiaro che l’amministrazione trova qualsiasi pretesto per far cassa sulla pelle dei cittadini. Lega e Pdl stanno raschiando il fondo del barile nel disperato tentativo di salvare la loro fallimentare gestione amministrativa della Provincia. Lo dimostra anche la farneticante proposta avanzata recentemente dall’assessore Mazzi secondo il quale le scuole dovrebbero adottare la settimana corta, dal lunedì al venerdì, per consentire ad Atv di risparmiare sul servizio di trasporto pubblico.

Il Partito Democratico pretende che l’amministrazione venga a riferire dettagliatamente in Commissione sulla condizione del trasporto pubblico locale e che presenti proposte serie e organiche per far fronte alla crisi.
Basta false promesse che la Regione distribuirà meglio le risorse favorendo Verona, il fallimento delle Lega è sotto gli occhi di tutti e non si può pensare di continuare a taglieggiare i cittadini per i propri errori.

Diego Zardini
Capogruppo PD
Provincia di Verona


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