Con la spending review muore la partecipazione
Scenari devastanti per gli organismi di consultazione: spariranno osservatori, consulte, comitati
di Cecilia Carmassi (25 luglio 2012)
Si chiama revisione della spesa, si legge tagli. Perché la revisione della spesa implicherebbe una valutazione di cosa si spende per quali obiettivi e con quali risultati, una valutazione politica seria sulla spesa utile, quella inutile, l’appropriatezza o meno della stessa. Ma così non è. Sta succedendo l’inverosimile e forse molti non ne hanno colto il vero significato.
In un piccolo comma (il comma 20 dell’art 12) si passa un bel colpo di spugna praticamente su tutti gli “organismi collegiali” presso le pubbliche amministrazioni: sono le commissioni, le consulte, gli osservatori; tutti quegli organismi previsti in leggi e regolamenti che hanno definito e consentito luoghi istituzioni di interlocuzione costante tra gli enti pubblici e le organizzazioni sociali, organismi che quasi sempre dovevano obbligatoriamente essere interpellati sugli atti normativi, di pianificazione o regolamentari (ma anche sui criteri e gli obiettivi dei bandi per assegnare risorse) pur non avendo il parere degli stessi valore vincolante.
Ma di quali organismi stiamo parlando? La norma contenuta nella spending review era quasi passata inosservata finché la scorsa settimana, durante il lavori della commissione affari sociali della Camera, la Sottosegretaria Guerra ha dovuto comunicare di aver appena appreso che con quella norma veniva soppresso l’Osservatorio sull’associazionismo sociale del quale in quel momento si discutevano le modifiche al regolamento.
Tutti gli interlocutori sono rimasti increduli e spiazzati, non solo perché quando il Governo aveva soppresso l’Agenzia per il Terzo Settore aveva assicurato una valorizzazione del lavoro degli osservatori, ma anche perché era evidente che questa norma assai criptica era stata inserita come provvedimento di riorganizzazione degli uffici e risparmio sulla spesa e non coinvolgendo per nulla i ministeri competenti rispetto alla valutazione in merito alla opportunità del mantenimento degli organismi stessi.
Ma non basta. Cercando di capire come tutto ciò fosse stato possibile e quale fosse il reale impatto di quel piccolo comma, ho iniziato una ricerca su internet che mi ha restituito scenari complessi e devastanti in modo a tutt’oggi sottovalutato.
La norma fa infatti riferimento genericamente al trasferimento ai competenti uffici delle attività svolte dagli “organismi collegiali operanti presso le pubbliche amministrazioni, in regime di proroga ai sensi dell.’articolo 68, comma 2, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133”.
Ecco: si parte da una finanziaria del Governo Berlusconi con cui si diceva che tutta una serie di organismi previsti da varie leggi non erano più stabili, ma soggetti a valutazione ogni due anni da parte del Governo, che poteva o meno prorogarne l’esistenza con un Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Lo stesso valeva, ogni anno, per gli organismi previsti ai diversi livelli territoriali.
Oggi si dice che tutti questi organismi sono una spesa inutile e quelle attività le possono svolgere gli uffici competenti.
Ma di cosa si parla in concreto? Tutti hanno avuto presto ben chiaro l’impatto della norma sul Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali: basta andarsi a vedere i DPCM di proroga degli organismi per scoprire che chiuderanno – mano a mano che arrivano a scadenza i relativi decreti del 2010 – gli organismi ricompresi in Decreti del Presidente della Repubblica del 2007: tra gli altri il Comitato per i minori stranieri, la Consulta per i problemi degli stranieri immigrati e delle loro famiglie, l’Osservatorio nazionale per il volontariato, l’Osservatorio nazionale dell’associazionismo, la Commissione di indagine sulla esclusione sociale, il comitato nazionale pari opportunità. E si discute ancora se venga travolta persino la rete delle Consigliere di Parità.
Ma a quel punto la domanda sorge spontanea: e presso gli altri Ministeri? È evidente che la norma riguarda tutti, comincia così una ricerca inquietante dei decreti di proroga che emergono ad uno ad uno dal mare di internet e ci raccontano il vero impatto della norma.
Si va dall’Osservatorio per l’infanzia e adolescenza alla Consulta nazionale per il Servizio civile che sono presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ma si scende via via per l’albero delle funzioni Governative trovando organismi praticamente presso ogni Ministero.
E diventa immediatamente chiaro che l’impatto riguarderà a cascata anche tutti gli enti locali ed i loro organismi di consultazione istituzionale delle organizzazione sociali.
“Bingo!”, penserà qualcuno. Eliminando tutta questa pletora di organismi si risparmieranno una marea di risorse. Peccato che non sia così: tanto per fare un esempio la Consulta nazionale del Servizio Civile ha a bilancio soli 3.500 euro annui per i rimborsi spese.
Una rapida consultazione con i rappresentanti del terzo settore mi restituisce un dato eclatante: nessuno di loro chiede il rimborso spese per partecipare alle riunioni di questi organismi, anche laddove un badget per questo è previsto si scopre che viene utilizzato in realtà per collaborazioni e ricerche utili all’approfondimento delle questioni loro sottoposte dal Ministero.
E che il risparmio non sia poi così rilevante lo dice lo stesso provvedimento della spendig review, per il quale il risparmio effettivo sarà quantificabile solo a posteriori.
Qualche addetto ai lavori fa notare che chiudere questi organismi alleggerisce i Ministeri dei compiti di segreteria per la convocazione e la gestione degli stessi ed inoltre consentirà di spendere meno anche per le sale delle riunioni e riscaldamento.
Non so se ridere o indignarmi: questo è un provvedimento che uccide la partecipazione ed il confronto. La filosofia che lo anima è il “lasciateci lavorare” proprio l’opposto di quel “aiutateci a lavorare meglio” che era alla base della previsione di tanti organismi collegiali come luogo di monitoraggio sulla applicazione delle diverse normative.
Qualcuno pensa che l’interlocuzione coi rappresentanti delle organizzazioni sociali sia sufficiente nella dimensione dell’atto concessorio di una convocazione presso il Ministero, con la totale libertà nella scelta degli interlocutori da convocare, o nell’invito ad una bella conferenza nazionale come poteva essere quella sul volontariato a l’Aquila in ottobre.
Non mi stupisce che proprio in queste ore dal Terzo Settore inizino a declinare questi inviti.
Di conferenze blindate, fatte più di passerelle politiche e di centralità dei dirigenti ministeriali che di interlocuzione con i diretti interessati ne abbiamo avuto un ampio assaggio col Governo Berlusconi. Pensavamo che si tornasse a una dimensione partecipativa della gestione della cosa pubblica e invece qualcuno ha paura persino del parere non vincolante di questi organismi. Se il motto che qualcuno vuole scrivere fuori dai ministeri è “non disturbate il manovratore” noi rispondiamo che siamo cittadini, non sudditi. E ci resterà almeno il diritto di non salire sull’autobus quando è evidente che percorre strade sbagliate.
E al Governo diciamo: togliamo di torno l’alibi dei costi, il terzo settore è disposto a partecipare a puro titolo di volontariato; ma abbiano il coraggio di dire se la partecipazione è ancora un diritto e una ricchezza per la gestione della cosa pubblica o se il vero obiettivo è eliminare quei corpi intermedi, quelle autonomie sociali che pure i padri e la madri costituenti vollero tutelare inserendoli nella nostra carta costituzionale.
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