Giornata della Memoria

Dal testo di primo Levi: Se questo è un uomo

(riproptiamo la pagina che racconta il primo dei lunghi giorni fuori del mondo e del tempo, in attesa della liberazione che giungerà…)

……

I tedeschi non c’erano più. Le torrette erano vuote

Oggi io penso che, se non altro per il fatto che un Auschwitz è esistito, nessuno dovrebbe ai nostri giorni parlare di Provvidenza; ma è certo che in quell’ora il ricordo dei salvamenti biblici nelle avversità estreme passò come un vento per tutti gli animi.

Non si poteva dormire; un vetro era rotto e faceva molto freddo. Fuori ci dovevano essere almeno 20° sotto lo zero; la maggior parte dei malati non aveva che la camicia, e alcuni nemmeno quella. Pensavo che avremmo dovuto cercare una stufa da  installare, e procurarci carbone, legna e viveri. Sapevo che tutto questo era necessario, ma senza l’appoggio di qualcuno non avrei mai avuto l’energia per metterlo in atto. Ne parlai con i due francesi accanto a me e furono d’accordo.

19 gennaio 1945…..Ci alzammo all’alba, noi tre. Mi sentivo malato, inerme, avevo freddo e paura…….

Uscimmo nel vento di una gelida giornata di nebbia, malamente avvolti in coperte. Quello che vedemmo non assomiglia a nessuno spettacolo che io abbia mai visto né sentito descrivere.

Il Lager, appena morto, appariva già decomposto……

All’opera delle bombe si aggiungeva l’opera degli uomini: cenciosi, cadenti, scheletrici, i malati in grado di muoversi, si trascinavano per ogni dove, come una invasione di vermi, sul terreno indurito dal gelo…..non più padroni dei propri visceri, avevano insozzato dovunque, inquinando la preziosa neve, unica sorgente d’acqua ormai per l’intero campo……

Ci dirigemmo alle cucine e tra le macerie Charles ed io trovammo finalmente quanto cercavamo: una pesante stufa di ghisa, con tubi ancora utilizzabili: Charles accorse con una carriola e caricammo, poi lasciò a me l’incarico di portarla alla baracca e corse da Arthur per le patate, lo trovò svenuto per il freddo; Charles si caricò entrambi i sacchi e li portò al sicuro, poi si occupò dell’amico. Io intanto reggendomi a stento, cercavo di manovrare del mio meglio la pesante carriola…..

Raggiunsi finalmente la soglia della nostra baracca e sbarcai la stufa nelle mani di Charles. Ero senza fiato per lo sforzo, vedevo danzare grandi macchie nere.

Si trattava di metterla in opera. Avevamo tutti e tre le mani paralizzate e il metallo gelido si incollava alla pelle delle dita, ma era urgente che la stufa funzionasse, per scaldarci e per bollire le patate. Avevamo trovato legna e carbone e anche brace proveniente dalle baracche bruciate.

Quando fu riparata la finestra sfondata e la stufa cominciò a diffondere calore, parve che in ognuno qualcosa si distendesse e allora avvenne che Towarowski (un franco-polacco di ventitre anni, malato di tifo) propose agli altri di offrire ciascuno una fetta di pane a noi tre che lavoravamo e la cosa fu accettata. Soltanto il giorno prima un simile avvenimento non sarebbe stato concepibile. La legge del Lager diceva:” mangia il tuo pane, e se puoi, quello del tuo vicino”, e non lasciava posto per la gratitudine. Voleva ben dire che il Lager era morto.

Fu quello il primo gesto  umano che avvenne fra noi. Credo che si potrebbe fissare a quel momento l’inizio del processo per cui, noi che non siamo morti, da Haftling siamo lentamente ridiventati uomini….


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