PD pronto a governare il paese, ma serve una nuova legge elettorale

di Ettore Rosato (deputato del PD)

Sarà lunga e carica di colpi bassi (se non addirittura proibiti), la campagna elettorale per il voto del 2013. Sebbene manchino ancora otto mesi, questa campagna è già iniziata, e nel peggiore dei modi. Basta leggere le prime pagine di oggi del “Corriere della Sera”, de “Il Giornale” e de “Il Tempo”, per capire quale sara’ uno dei temi più gettonati: le presunte beghe e le insussistenti divisioni nel centrosinistra. “Una grande rissa a sinistra” è infatti il titolo del Corriere; “sinistra allo sfascio” titola il “Giornale”; “campagna elettorale fasciocomunista” è invece quello del “Tempo”. Che le ultime due testate debbano fare il loro “mestiere” è cosa normale, visto che sono giornali sostenuti da Berlusconi. Ma che il “Corriere” inizi gia’ adesso a spargere polpette avvelenate per dissuadere l’opinione pubblica sulla possibilità che ci sia una seria e valida alternativa di governo e che una nuova alleanza tra progressisti e moderati possa sorgere concretamente per governare l’Italia è davvero un cattivo segnale. E’ la dimostrazione che i cosiddetti poteri forti del nostro Paese sono alquanto disorientati e privi, dopo la dissoluzione del berlusconismo, di nuove “garanzie” e punti di riferimento. Quasi impauriti che il Partito democratico possa legittimamente andare al governo, coinvolgendo, in un progetto di modernizzazione dell’Italia, forze sociali, politiche e imprenditoriali lontane dai loro interessi. Si sentono orfani e la loro unica preoccupazione e’ ormai solo quella di mettersi di traverso, di ostacolare qualunque processo di riforma e di vera modernizzazione dell’Italia che ha nel Pd il partito trainante e centrale. Non possono (e non potranno) piu’ sostenere Berlusconi, così come non possono scommettere tutto su Monti e sulla riedizione di nuovi governi tecnici. Gli rimane, ed e’ quello a cui stiamo assistendo, la sponsorizzazione di una grande e indistinta coalizione, con tutti dentro: da Berlusconi a Monti, da Casini a Bersani. Non sulla falsariga della “grosse koalition” tedesca, sorta su presupposti tutt’altro che ideologici, ma solo per preservare interessi e posti chiave nell’apparato dello Stato. Quello che ci sorprende e’ che sia il Corriere della Sera alla testa di questa strana Armata. Sia ben chiaro: il Pd non ci sta e contrastera’ in ogni modo questa anacronistica visione della gestione della cosa pubblica. Il Pd e’ pronto ad assumersi le proprie responsabilità, con un programma di governo per 5 anni e gli uomini e le donne in grado di realizzarlo. Deve essere altrettanto chiaro che il prossimo governo sarà un governo politico, certo, con profili tecnici e competenti; ma e’ arrivato il tempo di restituire ai cittadini la possibilità di scegliere, con un voto democratico, un nuovo esecutivo dopo la fallimentare esperienza di Berlusconi e la parentesi, necessaria, del prof. Monti e del suo governo. Ma ora la parola deve tornare al popolo e non solo per scegliere tra centrodestra e centrosinistra ma anche per eleggere i nuovi parlamentari: ovvero da chi farsi rappresentare, come in tutte le normali democrazie. Ed e’ questa l’altra questione al centro del dibattito politico ormai da diverse settimane: con quale legge elettorale andremo a votare? con il porcellum o con una nuova legge? Ho gia’ avuto modo di dire quello che penso su questa materia. Ma a costo di ripetermi, vedo solo molta tattica da parte del Pdl, non una seria volonta’ di cambiare effettivamente il porcellum. Stando alle loro dichiarazioni, il Pdl vorrebbe introdurre le preferenze e dare un piccolo premio alla lista che ottiene piu’ voti. Non ci siamo. Non sono queste le modifiche che consentono maggiore stabilita’ e possibilità per gli elettori di scegliere limpidamente i propri rappresentanti. Insistiamo e insisteremo: servono i collegi, come nel vecchio Mattarellum, e il premio va dato alla coalizione e non alla lista, altrimenti le maggioranze si formeranno dopo il voto, e non prima, alla faccia della trasparenza. E in Parlamento ci troveremo con il doppio dei gruppi rispetto alle liste che si sono presentate. Che bel capolavoro! Se c’e’ una volontà di arrivare ad un accordo lo vedremo nei prossimi giorni, altrimenti si tornerà a votare con il porcellum. Ma che a nessuno venga pero’ l’idea balzana di scaricare su di noi responsabilità che sono in capo ad altri. E solo di altri, anche perché vale sempre la pena ricordare che la maggioranza del Parlamento è ancora formata da chi il porcellum l’ha approvato, con il nostro voto contrario!


La Lega oltre i cliché

Riportiamo un interessante articolo scritto da Dario Tuorto (Ricercatore presso la facoltà di Scienze della Formazione, Università di Bologna) e Gianluca Passarelli (Ricercatore presso la facoltà di Scienze Politiche, Università di Bologna) pubblicato su “Tam Tam Democratico”, uno spazio per l’approfondimento di alcune tematiche a cusa del Partito Democratico (http://www.tamtamdemocratico.it).

 

 

La Lega Nord è morta, que viva la Lega Nord!
Nonostante la politica, e i partiti, come tutte le vicende sociali siano molto complesse, il partito di Bossi è stato sovente osservato e analizzato attraverso un atteggiamento che definire schizofrenico appare eufemistico. Purtroppo gli abbagli, gli ammiccamenti e le censure sono state sovente impressionistiche, congiunturali e non ben meditate né approfondite.

Le semplificazioni, le visioni olografiche e rassicuranti sono durate quasi quanto l’esistenza del Carroccio e connesse, e si tratta di un’aggravante, alla cattiva comprensione di cosa fosse la «questione settentrionale» che della Lega è in qualche modo figlia..

Le recenti vicende giudiziarie e politiche hanno potentemente enfatizzato gli aspetti contradditori, ma non hanno affatto scoraggiato affrettate analisi sulle sorti future del partito ex bossiano. Il de profundis del Carroccio è stato immediatamente evocato, confondendo però la mesta, prevedibile e inevitabile, uscita di scena del Senatur con la disgregazione, per ora presunta e rinviata, del partito. La sovrapposizione concettuale ha raggiunto l’acme nelle considerazioni di chi fa risalire la crisi del movimento con l’inizio della malattia di Bossi, cioè al 2004 quando sarebbe terminata la spinta propulsiva leghista. In realtà proprio dal 2005, e fino al 2011, il costante progresso elettorale è stato celebrato ma a volte incompreso..

Qual è, dunque, alla luce degli eventi attuali, il futuro politico ed elettorale del partito nato ormai vent’anni fa? Partiamo da un dato, o meglio da una considerazione, ossia la spesso evocata «diversità» leghista. Che cosa si intende con questo termine? Bisogna distinguere vari aspetti: quello elettorale, ideologico, organizzativo, etico. La commistione tra le varie dimensioni analitiche ha generato sovente confusione, fino a creare dei veri e propri ossimori concettuali. Il rischio è che il disordine si ripresenti, sotto le mentite spoglie della vicenda giudiziaria e umana della famiglia Bossi, e che sfugga perciò il cuore dell’analisi..

Del resto la distorsione ottica su «cosa fosse la Lega» si ebbe già nel 2008, quando si teorizzò che l’exploit leghista alle elezioni politiche fosse dovuto al flusso di voti da sinistra solo perché qualche giornalista della porta accanto si affrettò a sentenziare che «siccome» il calo della sinistra era percentualmente pari alla crescita delle camicie verdi, «allora» non poteva che esserci stato un travaso di voti..

E via tutti a declamare le virtù del leghismo di lotta che riesce a insediarsi nelle fabbriche mentre la sinistra sarebbe ormai solo presente nei salotti, il vetero padanismo alla conquista dei sindacati e della Cgil, degli operai orfani della rappresentanza storica dei movimenti progressisti. Quando si provava ad argomentare, magari con l’ausilio dei dati, che tale collasso di movimento da «sinistra verso la Lega Nord» in realtà non c’era stato o comunque non con dimensioni titaniche, anche i politici più accorti ammettevano una maggiore complessità della questione rimanendo intimamente convinti del contrario perché – come ammiccavano al collega politico seduto accanto dandogli di gomito – «conosco uno che è iscritto alla Fiom e ha votato Ln …»..

Fatica sprecata, il pregiudizio è più solido di un atomo, come direbbe Einstein. In realtà, a volere essere spietati, la Lega Nord aveva conquistato il cuore e il consenso di molti operai già prima del 2008, e poi non era più scontato (se mai lo fosse stato) che la classe operaia per andare in paradiso preferisse il traghetto del centrosinistra. By the way difendere gli operai delle fabbriche minacciati (si può scrivere?) dalla protervia patronale di Marchionne, che incidentalmente viola l’art. 3 della Costituzione escludendo lavoratori iscritti a un certo sindacato, NON implica condividere le posizioni della FIOM, ma avrebbe consentito di ri-avvicinare, almeno idealmente, la politica riformista alla società italiana…

La miopia sulla Lega cela in realtà un tabù ben più saldo e un velo di ipocrisia che avvolge da anni il Carroccio e che è difficile da squarciare. Solo alcuni autorevoli commentatori e qualche politico, ma senza continuità, hanno segnalato quanto però non è mai (ancora) diventato pensiero diffuso: la Lega Nord è un partito di estrema destra, xenofobo e razzista. Da qui la domanda che, forse, il Paese non vorrebbe porsi perché non pronto alla risposta sottesa: Come è stato possibile che la Lega Nord abbia governato l’Italia per quasi dieci anni negli ultimi diciotto?.

Il razzismo rubricato a boutade, la trasversale ammirazione per la franca (e sgrammaticata) vis verbale finanche a tratti invidiata. Il biasimo per i modi grevi e le provocazioni salutate come folclore, mentre in molti casi si trattava di (incitazione alla) violenza, e in Francia o Germania molti esponenti leghisti sarebbero stati già condannati e/o arrestati proprio per le loro dichiarazioni en plein air..

La Lega è stata al governo grazie a Berlusconi certo (e viceversa!), ma non solo. Oltre a una pudica paura di confessare che «questo è stato», e al martellante refrain dei media allineati, la favola della Lega quale movimento solo «sopra le righe» è stata reiterata e sbandierata in ragione della malcelata condiscendenza di parte dell’opposizione, della strumentale alleanza del centrodestra e della debolezza del ceto intellettuale e della borghesia. Nonché alimentata da una subdola e forse inconscia ammirazione per alcuni suoi tratti peculiari..

Non ultimo l’assioma, e come tale mai dimostrato, che la Lega Nord altro non fosse che una costola della sinistra: una provocazione mai confermata, quasi una profezia e uno sconcio pio desiderio. Detto altrimenti, è stato sacrificato sull’altare della ragion di Stato di partiti, coalizioni e carriere personali, il livello di decenza che in altri contesti (vedi Chirac vs Le Pen) non è mai stato in pericolo, mentre anche le forze progressiste e riformiste in Italia hanno manifestato debolezza culturale e politica, altro che egemonia!.

Sul versante delle politiche l’innovazione apportata dalla Lega e da Bossi è stata certamente efficace. Praticamente tutti i partiti ripetono oggi come un mantra la necessità di riforme federaliste, salutate da strali e accuse quando a teorizzarle era Gianfranco Miglio. La Lega è riuscita a mettere in agenda la «questione settentrionale» superando e sparigliando anni di politiche basate su un concetto accompagnato da riflessioni opposte: la questione meridionale. Alla scontata uscita di scena del partito diversi commentatori hanno pertanto accompagnato un’altrettanto ineludibile «rappresentanza Nord» orfana del suo primo imprenditore politico. Addirittura Luca Ricolfi ha ipotizzato un legame tra la «fine» della Lega Nord e l’abbandono delle posizioni oltranziste sul tema del federalismo, anche se così non si spiega la sopravvivenza di Forza Italia alle mancate liberalizzazioni o del Pci all’abbandono della via verso il «sol dell’avvenire». In ogni caso essere riuscita a inserire un tema, il federalismo, nell’agenda delle riforme, è un merito da ascrivere principalmente al lavorìo della classe dirigente leghista..

Anche la «questione settentrionale» è stata un’occasione persa, per la politica italiana e anche per il PD, si parva licet. La politica riformista si è attestata su posizioni difensive, conformiste e timide. Viceversa sarebbe stato opportuno e meritevole rilanciare la questione «nazionale», avendo in mente il Paese come complesso sociale da sanare e salvare. Purtroppo antiche e mai sopite antipatie per il concetto di nazione e il timore di essere non à la page con lo spirito del tempo, hanno reso marginale e residuale l’attenzione per la vera tematica nazionale, la «questione meridionale»..

Se l’azione fosse stata costante ed empatica l’anniversario del 150° dell’Unità d’Italia sarebbe stata l’occasione per proporre il PD come vero e unico partito nazionale (alle politiche del 2008 il PD è risultato primo partito in molti centri medio-grandi del Nord-Est e finanche nel Veneto era dietro al Pdl di soli 25.000 voti, ma oggi del partito sul «territorio» si ha poca o punto traccia e si intravede un difficile dialogo non solo con i «ceti produttivi» ma addirittura con i pendolari dei treni…), mentre le «celebrazioni» – ipso facto – hanno lasciato in bocca un sapore da naftalina risorgimentale senza condivisione popolare, ma anzi acuito tanti localismi a nord e a sud..

Rimanendo sul versante leghista, emerge chiaramente quanto sia utile tenere distinti i vari aspetti della vita del partito. Solo così è possibile provare a (intra) vedere meglio quali siano le plausibili prospettive del partito fondato da Umberto Bossi. Ideologia, politiche, organizzazione e raccolta del consenso possono, come accennato, far riferimento a schemi e codici diversificati e persino contradditori senza che questo però rappresenti per forza un ibrido. A volte lo è solo nel pre-concetto di chi analizza. Un partito di estrema destra, può avere un’organizzazione solida, diffusa, personale spesso competente e militanti attivi e legati all’organizzazione da vincoli volontaristici e incentivi collettivi. I due aspetti non sono mutuamente esclusivi anche se la predilezione per le dicotomie, a volte truci, e l’ostilità per gli approfondimenti è un segno dei tempi. Grami..

La giusta attenzione alle squallide vicende di uso del denaro pubblico a fini personali da parte di alcuni esponenti leghisti rischia di oscurare le potenzialità del partito. Che serba molte risorse. Non solo per la persistente «questione settentrionale» – o meglio per la sperequazione tra Nord e Sud –, che si ri-candida a rappresentare, ma anche per le caratteristiche politiche e organizzative. Iscritti altamente fidelizzati, organizzazione efficiente e rilancio di tematiche quanto mai attuali: immigrazione, sicurezza e soprattutto lavoro..

A una prima lettura, il terremoto che ha investito la cerchia di Bossi e lo stesso capo non sembra derivare direttamente da un indebolimento della presenza leghista sul territorio, da un appannamento delle ragioni che ne hanno promosso la ripresa durante gli ultimi anni. Per quanto dirompente, lo scandalo interno al partito si pone su un piano squisitamente politico, è destinato sicuramente a scompaginare la configurazione del suo apparato e a provocare più di un mal di pancia a iscritti e fedelissimi, turbati nel ritrovarsi a combattere contro la casta di casa loro. Non s’intravedono invece, con la stessa nettezza, ragioni oggettive tali da mettere in discussione la funzione sociale sin qui esercitata dalla Lega, riflesso o conseguenza di questa crisi politica..

Si potrebbe osservare come lo spostamento all’opposizione seguito all’insediamento del governo Monti abbia consentito al partito di riposizionarsi come attore politico in grado di interpretare in modo radicalmente altro le istanze dei ceti sociali investiti dalla crisi. Lontano dai banchi del governo non è stato difficile per la Lega ritrovare il monopolio (certo politico, non sociale) della contestazione alle riforme economiche. Fuori dalle secche del governo Berlusconi e contro la «soluzione dall’alto» prospettata dal governo dei tecnici. Neo-laburismo e preferenza per i lavoratori nazionali, difesa dei diritti acquisiti e lotta contro le nuove tasse, contro un riformismo iniquo. Questo repertorio, vecchio ma efficace, non viene scalfito dalla crisi interna alla classe dirigente leghista. E non è da escludere che la stessa dissonanza cognitiva, potenzialmente lacerante per i militanti divisi tra una rappresentazione gloriosa e una assai meno nobile del loro partito, venga sorprendentemente digerita…

I militanti, la cerchia più solida e originale del partito. Più che manifestare spinte centrifughe, nei primi giorni successivi allo scandalo si sono mossi come un corpo unico, compattamente fedele, pronti a sostenere il partito, innanzitutto e nonostante tutto. Scossi dall’appannamento del loro leader, ma anche determinati nel chiedere pulizia e rinnovamento. D’altro canto, il disvelamento del mito del capo non è più un tabù anche per la Lega. Basti ricordare che, solo qualche mese fa, la retromarcia clamorosa sul caso Maroni aveva già fatto intravedere elementi di laicismo, corredo indispensabile per la sopravvivenza nell’era del dopo Bossi..

Lo stesso banco di prova delle elezioni amministrative ha riservato in questo senso alcune sorprese. Il risultato negativo è stato certamente il cuore della prestazione leghista. Ma la vicenda di Verona, con l’abile azione di Tosi, e l’analisi del voto a livello territoriale forniscono informazioni interessanti. A fronte di una perdita di circa 2/3 del proprio elettorato (in valore assoluto!) degli anni 2007, 2008, 2009 e 2010, la Lega perde solo il 25% nei centri con meno di 15.000 abitanti. Questa fase potrebbe cioè rappresentare un momento di arroccamento per ripartire proprio dai luoghi di storico insediamento. Nonché l’orgoglio dell’altra Lega che si autorappresenta diversa dal suo apparato centrale. Una prova di autonomia e protagonismo degli amministratori locali che rispondono con la politica dei fatti alla crisi morale della loro classe dirigente..

Il PD può insinuarsi in questa frattura, una vera e propria faglia tellurica, ma è necessaria un’azione al tempo stesso rapida, per rispondere a eventi congiunturali, ma anche di lungo periodo per recuperare credibilità. Anziché ritrarsi e aspettare un’alleanza “centrista” elettoralmente incompresa. Il Nord è oggi una prateria elettorale, con il PdL in rotta, la Lega in fase di ri-organizzazione e la montante protesta. O meglio richiesta di nuova politica. Il PD può ripartire da Milano, Genova, Bologna, ma deve fronteggiare anche le sacrosante richieste provenienti dai cittadini impegnati in politica, come nel caso del Movimento 5 stelle. Troppo frettolosamente derubricato ad antipolitica demagogica, come avvenne nel caso del Carroccio nel 1992. Meditiamo..

Intanto il futuro della Lega Nord appare dunque lapalissianamente connesso alla sua natura che ne influenza vizi e virtù, potenzialità e limiti. Evitare le dicotomie, gli assiomi, non mitizzare il partito «sul territorio», «vicino ai cittadini» e il giorno dopo denigrarlo, saltando a piè pari l’esperienza di governo. Si tratta di un partito carismatico (non anche patrimoniale o personale come Forza Italia) ed era difficile che una forza politica tale riuscisse a istituzionalizzarsi, a succedere cioè al proprio fondatore/padre nobile/capo. In realtà nella Lega Nord il processo di transizione della classe dirigente era iniziato da tempo..

L’affaire Belsito lo ha fatto esplodere. La presenza di fratture, fazioni e correnti ci ricorda che la politica non è un «beauty contest». È crudele. Uno scontro di persone che lottano per il potere. Forse non è stato sottolineato abbastanza quanto rilevante sia quello che è accaduto nella LN in quanto organizzazione: il partito, di natura carismatica, come Forza Italia-PDL, ma senza aggravante padronale, si è istituzionalizzato. E i casi del genere sono al mondo poche unità. È stato cioè in grado, grazie all’abilità di Maroni (e alla debolezza fisica e politica di Bossi), a condurre in porto una transizione «democratica», a sostituire la leadership, a rinnovare i quadri dirigenti e, per ora il messaggio. Ma anche a condizionare, come con la «Bicamerale D’Alema» il dibattito sulle riforme istituzionali..

La Lega sta cambiando pelle, ma la sua azione nel sistema politico potrebbe ancora essere rilevante se il nuovo imprenditore politico, Maroni, ne raccogliesse e rilanciasse in tempi brevi le molte potenzialità. Del resto lo spazio per una Lega Nord stile neo-DC del Nord che ne rappresenti le istanze è ancora disponibile, anche se permangono rischi di divisioni, di fratture promosse da gruppi ortodossi e oltranzisti. Vedremo.



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