La strada del PD in questa crisi – Intervista a Bersani sul Messaggero

Da Il Messaggero

Il governo di Parigi parla di un patto Francia-Germania-Italia per rafforzare la disciplina di bilancio. Pier Luigi Bersani, segretario del Pd, si va verso un’Europa a due velocità? «Se si parla di un lavoro per la modifica dei trattati che renda più coerente il patto a 17 (i Paesi della zona Euro), va bene. Tuttavia, intanto che si prepara una riforma dei trattati noi rischiamo la pelle. Stiamo vivendo una contraddizione micidiale: mentre discutiamo giustamente di una necessaria disciplina dei bilanci, noi non abbiamo una garanzia collettiva a tutela dell’Euro. Questo è il punto irrisolto. Deve essere affrontato con assoluta urgenza, lavorando (anche dentro gli statuti attuali) ad un ruolo della Banca centrale europea triangolato o con il Fondo monetario, soluzione non gradevolissima, o triangolato con la trasformazione del Fondo salva stati in una banca. Ma qualsiasi sia la tecnica, se stiamo solo alla disciplina di bilancio, rischiamo di arrivarci morti». C’è chi denuncia l’egoismo di Francia e Germania. Lei ha qualche rimprovero da fare a Sarkozy e Merkel?

«Purtroppo si è coltivata nelle opinioni pubbliche europee, in particolare sotto la spinta politico-elettorale della destra, l’idea che uno si salva da solo e che c’è una distinzione tra virtù e vizi per cui i vizi sono sempre quelli dell’altro. Tutto ciò, unito a un certo lassismo in diversi paesi, ha provocato una miscela esplosiva che ha portato all’impotenza il sistema. Manca lo scatto di orgoglio europeo. Se ci fosse, in poco tempo la fiducia tornerebbe. Non vedo nell’immediato la possibilità di questo scatto. Aspettiamo il precipizio e forse arriverà». In Italia c’è un nuovo governo e qualche critica a Monti è già arrivata, soprattutto sui tempi di azione di fronte alla crisi. «Il Pd sarebbe l’unico a poter tirare per la giacca Monti perché siamo i soli che diciamo da tre anni che il Paese va incontro a guai seri. Tanti di coloro che adesso si agitano, negli anni in cui si dormiva non hanno suonato la sveglia. Io sono per dare gli otto giorni a un governo che arriva, dopodiché i provvedimenti hanno una loro urgenza e devono essere incisivi. E non credo che le sollecitazioni che arrivano siano disinteressate. Quando sento dire che non basta Monti per risolvere la questione dello spread, vedo un segno di irresponsabilità. Di chi non ha capito quanto grave sia il problema». Le ricette per risolvere il problema. Si parla di Ici, Iva, meno tasse sul lavoro. E patrimoniale. Forse. «Il quadro è segnato dalla necessità di consolidare la manovra per il pareggio di bilancio. L’operazione da fare deve essere caratterizzata dall’equità e tener conto che è già un mese o due che siamo in recessione. Quindi serve una manovra che abbia il minimo impatto recessivo. Noi portiamo le nostre proposte: le risorse vanno cercate là dove c’è stato meno disturbo e quindi pensiamo a un’imposta sui grandi patrimoni immobiliari; un’azione credibile sul lato dell’evasione fiscale; siamo molto prudenti, invece, su provvedimenti che riguardino l’Iva perché l’Italia è un paese in cui l’effetto inflazionistico, anche quello di una piccola mossa sull’Iva, è rilevantissimo; lavoriamo poi a un pacchetto di proposte che riguardino da un lato risparmi sulla pubblica amministrazione e dall’altro le liberalizzazioni; riteniamo che per dare un minimo di sostegno alle attività in senso anti-recessivo bisogna lavorare sull’immediata partenza di piccole opere pubbliche e private, e dunque pensiamo a una limitata deroga al piano di stabilità dei Comuni».L’impostazione data da Elsa Fornero al dibattito sulla riforma delle pensioni va nella strada giusta? «Questa ministra ha mostrato grande competenza e serietà. E’ positivo che parli di equità perché non possono esserci dentro il sistema delle situazioni di privilegio o di mancato rapporto tra versamenti e prestazioni. E vale per tutti, a cominciare dalla politica e dai vitalizi dei parlamentari. Ha ragione Fornero, si tratta di una riforma da accelerare più che da rifondare. A noi interessa che dentro il sistema del welfare, quel che si risparmia venga orientato non a chiudere dei buchi di bilancio, ma a dare una prospettiva alle nuove generazioni». Lavoro e welfare. L’accordo tra Fiat e sindacati a Termini Imerese è un buon risultato? «E’ una bella novità rispetto al recente passato.

C’è qualcuno che chiama i protagonisti e vede di trovare una soluzione. Bene ha fatto Fornero, comunque, a richiamare Fiat a chiarire meglio qual è il suo impegno nazionale. Mi auguro che il governo sia finalmente in condizione di chiamare il Lingotto a discutere del piano industriale». Berlusconi apre la campagna elettorale. Un Pdl che oscilla tra appoggio a Monti e attacchi a Monti è un pericolo per la tenuta del governo? «Certo non è una medicina. Ma l’asse fondamentale del mio partito è l’Italia, e dunque mi rifiuto di mettere nel mirino Berlusconi. Dica quel che vuole, se ritiene che sia il momento di cominciare la campagna elettorale, è un lavoro che farà da solo. Io non lo faccio. Punto e basta». Casini sostiene che sull’appoggio a Monti si ridefiniscono le alleanze future. I vostri alleati Di Pietro e Vendola sono piuttosto critici. La foto di Vasto esiste ancora? «Vorrei dire che tutti hanno guardato la foto di Vasto ma nessuno ha ascoltato il sonoro. Io ho parlato di alleanza dei moderati e dei progressisti. Certamente il passaggio Monti non è irrilevante per le prospettive politiche. Non c’è un tavolo di maggioranza, noi andiamo quando Monti chiama, ma questa fase dà anche la misura del senso di responsabilità verso il Paese che ognuno si prende. Il mio orizzonte resta una alleanza di legislatura tra moderati e progressisti per una decina di riforme sulla democrazia e sul sociale. Perché non basterà la transizione. Dopo questi 15 anni bisogna riformulare una prospettiva per il Paese. Io vedo positivamente quel che dice Casini, ma non posso ignorare le posizioni di Vendola, che non ostacolano affatto un passaggio delicato come questo. Anche io misurerò tutti quanti dall’assunzione di responsabilità che ci sarà. Chi vuol salvarsi da solo sbaglia strada». Il Pd ha qualche problema interno, con i Liberal che chiedono le dimissioni del responsabile economico Fassina. «C’è uno sport a descrivere sempre il Pd come imbarazzato e diviso, senza accettare il fatto che noi discutiamo all’aria aperta. Però dico questo: si leggono le posizioni di Fassina (più che di Fassina sono le posizioni deliberate dalle nostre assemblee) come tesi di una sinistra impotabile, mentre si tratta di idee liberali discusse ovunque: il fatto che le sole misure di rigore e di austerità non accompagnate da politiche di equità e di crescita ci portino contro un muro, è teoria condivisa da tutti i liberal del mondo. Noi non facciamo una politica laburista, ma sociale e liberale». Si torna a parlare di un congresso del Pd in primavera. «Se si fa il congresso dovrei saperlo, non trova? Non mi risulta. In ogni caso queste voci non sono da attribuire a un disagio. Semmai sono voci che richiamano la possibilità di investire ulteriormente sui risultati che stiamo incassando in termini di consenso. A queste buone intenzioni rispondo così: prima di tutto l’Italia, noi veniamo dopo». Due temi nell’agenda del Parlamento. Torna attuale la riforma elettorale e voi rilanciate la legge sulla cittadinanza per i figli di immigrati nati in Italia. Ce la farete? «La riforma elettorale è importantissima. C’è la possibilità di lavorare a una legge che preservi il bipolarismo e che eviti la nomina dei parlamentari. Quanto alla cittadinanza, il tema è anche politico. La Lega è all’opposizione? Benissimo, vogliamo ancora farci ricattare dal Carroccio? No, basta. Adesso andiamo in Europa non solo con gli spread ma anche con qualche minimo segno di civiltà. Per me questo è un punto abbastanza dirimente». Il Pd farà le primarie per il segretario del Lazio a febbraio. Siete arrivati alla conclusione di un percorso complicato. E tra un anno e mezzo si vota a Roma. Zingaretti sarebbe un buon sindaco? «Intanto chiarisco che non ci sarà nessuna interferenza dei quadri nazionali del partito. Raccomando che tutto si svolga con sobrietà e che si dia luogo a un confronto democratico. Sul secondo punto, devono decidere i romani. Per me Zingaretti è un amministratore ottimo, una personalità notevole, fra le migliori che abbiamo».


Roma Capitale, decreto firmato Lega!

Il Governo ha approvato il secondo decreto delegato su Roma Capitale. Il decreto dovrà seguire in iter ancora lungo che prevede il vaglio delle Commissioni Parlamentari competenti e delle Conferenze Stato-Regioni e Stato-Città per poi tornare nuovamente al Consiglio dei Ministri per l’approvazione definitiva.

Come prevedibile non si sono fatte attendere le critiche da parte della Lega che con il nuovo Governo è passata all’opposizione.

Ai veronesi: questo Decreto è uno dei famosi 8 decreti attuativi sul Federalismo Fiscale così come voluto, scritto, firmato e votato da ministri, Parlamentari della Lega e del PDL.

Ecco la prova:

Decreto Legislativo 17 settembre 2010, n.156

“Disposizioni recanti attuazione dell’articolo 24 della legge 5 maggio 2009, n. 42, in materia di ordinamento transitorio di Roma Capitale”

pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 219 del 18 settembre 2010


IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visti gli articoli 76, 87, quinto comma, 117 e 119, della Costituzione;

Vista la legge 5 maggio 2009, n. 42, recante delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione, e in particolare l’articolo 24, relativo all’ordinamento transitorio di Roma Capitale ai sensi dell’articolo 114, terzo comma, della Costituzione;

Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 18 giugno 2010;

Sentiti la Regione Lazio, la Provincia di Roma e il Comune di Roma;

Vista l’intesa sancita in sede di Conferenza unificata ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, nella riunione del 29 luglio 2010;

Visti il parere della Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale di cui all’articolo 3 della legge 5 maggio 2009, n. 42, e i pareri delle Commissioni parlamentari competenti per le conseguenze di carattere finanziario della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 17 settembre 2010;

Sulla proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, del Ministro per le riforme per il federalismo, del Ministro per la semplificazione normativa, del Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale e del Ministro per le politiche europee, di concerto con i Ministri dell’interno e per la pubblica amministrazione e l’innovazione;

Ritenuto di dover adottare, nell’ambito di quanto previsto dall’articolo 24 della legge 5 maggio 2009, n. 42, un primo decreto legislativo concernente esclusivamente l’assetto istituzionale di Roma Capitale;

E m a n a
il seguente decreto legislativo:

Art. 1
Oggetto

1. Il presente decreto reca disposizioni fondamentali dell’ordinamento di Roma Capitale ai sensi dell’articolo 24 della legge 5 maggio 2009, n. 42, e successive modificazioni.

2. Le norme di cui al presente decreto costituiscono limite inderogabile per l’autonomia normativa dell’Ente e possono essere modificate, derogate o abrogate dalle leggi dello Stato solo espressamente.

Art. 2
Organi di governo di Roma Capitale

1. Sono organi di governo di Roma Capitale l’Assemblea capitolina, la Giunta capitolina ed il Sindaco.

Art. 3
Assemblea capitolina

1. L’Assemblea capitolina e’ l’organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo.

2. L’Assemblea capitolina e’ composta dal Sindaco di Roma Capitale e da quarantotto Consiglieri.

3. L’Assemblea capitolina e’ presieduta da un Presidente eletto tra i Consiglieri nella prima seduta, con votazione a scrutinio segreto. Al Presidente sono attribuiti i poteri di convocazione e direzione dei lavori e delle attività dell’Assemblea e gli altri poteri previsti dallo statuto e dal regolamento dell’Assemblea, che disciplinano altresì l’esercizio delle funzioni vicarie. La revoca dalla carica di Presidente e’ ammessa nei soli casi di gravi violazioni di legge, dello statuto e del regolamento dell’Assemblea, che ne disciplina altresì le relative procedure.

4. L’Assemblea capitolina, dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo di cui all’articolo 24, comma 5, lettera a), della legge 5 maggio 2009, n. 42, disciplina con propri regolamenti l’esercizio delle funzioni di cui al comma 3 dell’articolo 24 della legge 5 maggio 2009, n. 42, in conformità al principio di funzionalità rispetto alle attribuzioni di Roma Capitale, secondo quanto previsto dal comma 4 del citato articolo 24.

5. L’Assemblea capitolina, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di attuazione dei principi e dei criteri direttivi di cui all’articolo 24, comma 5, lettera a), della legge 5 maggio 2009, n. 42, del presente decreto, approva lo statuto di Roma Capitale che entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Lo statuto disciplina, nei limiti stabiliti dalla legge, i municipi di Roma Capitale, quali circoscrizioni di decentramento, in numero non superiore a quindici, favorendone l’autonomia amministrativa e finanziaria.

6. Lo statuto e’ deliberato con il voto favorevole dei due terzi dei Consiglieri assegnati. Qualora tale maggioranza non venga raggiunta, la votazione e’ ripetuta in successive sedute da tenersi entro trenta giorni e lo statuto e’ approvato se ottiene per due volte, in altrettante sedute consiliari, il voto favorevole della maggioranza assoluta dei Consiglieri assegnati. Lo statuto e’ pubblicato nelle forme e nei termini previsti dalle vigenti disposizioni di legge ed e’ inserito nella Raccolta ufficiale degli statuti del Ministero dell’interno. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche alle modifiche statutarie.

7. Lo statuto stabilisce i casi di decadenza dei Consiglieri per la non giustificata assenza dalle sedute dell’Assemblea capitolina.

8. Lo statuto ed i regolamenti di cui al comma 4 prevedono e disciplinano, nei limiti delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente e nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 6, forme di monitoraggio e controllo da affidare ad organismi posti in posizione di autonomia rispetto alla Giunta capitolina, finalizzate a garantire, nell’esercizio delle funzioni riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali, il rispetto degli standard e degli obiettivi di servizio definiti dai decreti legislativi di cui all’articolo 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42, nonche’ l’efficace tutela dei diritti dei cittadini.

9. Lo statuto prevede strumenti di partecipazione e consultazione, anche permanenti, al fine di promuovere il confronto tra l’amministrazione di Roma Capitale e i cittadini.

Art. 4
Sindaco e Giunta capitolina

1. Il Sindaco e’ il responsabile dell’amministrazione di Roma Capitale, nell’ambito del cui territorio esercita le funzioni attribuitegli dalle leggi, dallo statuto e dai regolamenti quale rappresentante della comunità locale e quale ufficiale del Governo.

2. Il Sindaco di Roma Capitale può essere udito nelle riunioni del Consiglio dei Ministri all’ordine del giorno delle quali siano iscritti argomenti inerenti alle funzioni conferite a Roma Capitale.

3. La Giunta capitolina e’ composta dal Sindaco di Roma Capitale, che la presiede, e da un numero massimo di Assessori pari ad un quarto dei Consiglieri dell’Assemblea capitolina assegnati.

4. Il Sindaco di Roma Capitale nomina, entro il limite massimo di cui al comma 3, i componenti della Giunta capitolina, tra cui il Vicesindaco, e ne dà comunicazione all’Assemblea capitolina nella prima seduta successiva alla nomina. Il Sindaco può revocare uno o più Assessori, dandone motivata comunicazione all’Assemblea.

5. Gli Assessori sono nominati dal Sindaco, anche al di fuori dei componenti dell’Assemblea capitolina, fra i cittadini in possesso dei requisiti di candidabilità, eleggibilità e compatibilità alla carica di consigliere dell’Assemblea. La nomina ad Assessore comporta la sospensione di diritto dall’incarico di Consigliere dell’Assemblea capitolina e la sostituzione con un supplente, individuato nel candidato della stessa lista che ha riportato, dopo gli eletti, il maggior numero di voti. La supplenza ha termine con la cessazione della sospensione e non comporta pregiudizio dei diritti di elettorato passivo del Consigliere supplente nell’ambito di Roma Capitale.

6. La Giunta collabora con il Sindaco nel governo di Roma Capitale. Essa compie tutti gli atti rientranti nelle funzioni degli organi di governo che non siano riservati dalla legge all’Assemblea capitolina e che non ricadano nelle competenze, previste dalle leggi o dallo statuto, del Sindaco o degli organi di decentramento.

7. Lo statuto, in relazione all’esercizio delle funzioni conferite a Roma Capitale con gli appositi decreti legislativi, stabilisce i criteri per l’adozione da parte della Giunta di propri regolamenti in merito all’ordinamento generale degli uffici e dei servizi, in base a criteri di autonomia, funzionalità ed economicità di gestione, secondo i principi di professionalità e responsabilità.

8. Il voto dell’Assemblea capitolina contrario ad una proposta del Sindaco o della Giunta non comporta le dimissioni degli stessi.

9. Il Sindaco cessa dalla carica in caso di approvazione di una mozione di sfiducia votata per appello nominale dalla maggioranza assoluta dei componenti l’Assemblea. La mozione di sfiducia deve essere motivata e sottoscritta da almeno due quinti dei Consiglieri assegnati, senza computare a tal fine il Sindaco, e viene messa in discussione non prima di dieci giorni e non oltre trenta giorni dalla sua presentazione. Se la mozione viene approvata, la Giunta decade e si procede allo scioglimento dell’Assemblea capitolina, con contestuale nomina di un commissario ai sensi dell’articolo 141 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni.

10. Al fine di garantire il tempestivo adempimento degli obblighi di legge o di evitare che l’omessa adozione di atti fondamentali di competenza dell’Assemblea capitolina possa recare grave pregiudizio alla regolarità ed al buon andamento dell’azione amministrativa, il Sindaco può richiedere che le relative proposte di deliberazione siano sottoposte all’esame ed al voto dell’Assemblea capitolina con procedura d’urgenza, secondo le disposizioni stabilite dallo statuto e dal regolamento dell’Assemblea.

Art. 5
Status degli amministratori di Roma Capitale

1. Sono amministratori di Roma Capitale il Sindaco, gli Assessori componenti della Giunta ed i Consiglieri dell’Assemblea capitolina.

2. Gli amministratori di Roma Capitale che siano lavoratori dipendenti possono essere collocati a richiesta in aspettativa non retribuita per tutto il periodo di espletamento del mandato.

3. Il Sindaco, il Presidente dell’Assemblea capitolina e gli Assessori componenti della giunta capitolina hanno diritto di percepire una indennità di funzione, determinata con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita l’Assemblea capitolina. Tale indennità e’ dimezzata per i lavoratori dipendenti che non abbiano richiesto l’aspettativa.

4. I Consiglieri dell’Assemblea capitolina hanno diritto di percepire una indennità onnicomprensiva di funzione, determinata con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita l’Assemblea capitolina, in una quota parte dell’indennità del Sindaco, fissata dal medesimo decreto. Tale decreto e’ adottato successivamente all’adozione delle misure di cui all’articolo 3, comma 5. La misura della predetta indennità tiene conto della complessità e specificità delle funzioni conferite a Roma Capitale, anche in considerazione della particolare rilevanza demografica dell’Ente, nonche’ degli effetti previdenziali, assistenziali ed assicurativi nei confronti dei lavoratori dipendenti che siano collocati in aspettativa non retribuita conseguenti all’assunzione della carica di Consigliere dell’Assemblea capitolina. L’indennità e’ dimezzata per i lavoratori dipendenti che non abbiano richiesto l’aspettativa. Il regolamento per il funzionamento dell’Assemblea capitolina prevede l’applicazione di detrazioni dell’indennità in caso di non giustificata assenza dalle sedute della stessa.

5. In sede di attuazione dei commi 3 e 4, primo e terzo periodo, gli eventuali maggiori oneri derivanti dalla determinazione delle indennità spettanti agli amministratori di Roma Capitale non dovranno in ogni caso risultare superiori alle minori spese derivanti dall’applicazione del comma 4, quarto periodo, e dell’articolo 3, comma 5.

6. Si applica l’articolo 5, comma 11, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.

7. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di attuazione dei principi e dei criteri direttivi di cui all’articolo 24, comma 5, lettera a), della legge 5 maggio 2009, n. 42. Fino a tale data continua ad applicarsi la disciplina vigente.

Art. 6
Clausola di invarianza finanziaria

1. Dall’attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Art. 7
Disposizioni transitorie e finali

1. Per quanto non espressamente previsto nel presente decreto, agli organi di Roma Capitale ed ai loro componenti si applicano le disposizioni previste con riferimento ai comuni dalla parte prima del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e da ogni altra disposizione di legge.

2. Nelle more dell’approvazione dello statuto di Roma Capitale e del regolamento dell’Assemblea capitolina continuano altresì ad applicarsi le disposizioni dello statuto del comune di Roma e del regolamento del Consiglio comunale di Roma in quanto compatibili con le disposizioni del presente decreto.

3. Fino alla prima elezione dell’Assemblea capitolina, successiva alla data di entrata in vigore del presente decreto, il numero dei suoi membri resta fissato in sessanta oltre al Sindaco ed il numero degli Assessori resta fissato nell’ambito del limite massimo previsto dall’articolo 47, comma 1, ultima parte, del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni.

4. La disposizione di cui all’articolo 4, comma 5, secondo e terzo periodo, si applica a decorrere dalla prima elezione dell’Assemblea capitolina successiva alla data di entrata in vigore del presente decreto.


Bersani chiarisce la posizione del PD

Il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, ha chiarito ieri la posizione del Pd in una lunga intervista radiofonica.
“Domanda. I mercati restano in difficoltà, lo spread che cammina anche dopo l’insediamento del nuovo governo Monti. Insomma nessuno ha la bacchetta magica?“Siamo in un’altra situazione, perché sarà possibile affrontare problema a fianco dei grandi Paesi europei cercando di correggere la linea della politica economica europea che fin qui si è dimostrata insufficiente e cercando, per quello che riguarda noi, di toglierci dal fronte più scoperto della crisi. Quel che cambia oggi è che siamo al tavolo con i primi paesi d’Europa”.
Alcune misure per il governo. Sarà la patrimoniale il terreno di scontro tra PD e Pdl, visto che Berlusconi ha detto di essere contrario? ”Non esistono linee controverse all’interno del PD. Siamo un partito che discute e al momento giusto decide. Noi abbiamo già posizioni dichiarate: abbiamo presentato un emendamento alla manovra di Tremonti che parlava di imposizioni sui grandi patrimoni immobiliari e abbiamo presentato, quando si parlava di federalismo fiscale, un meccanismo di imposizione fiscale sui servizi erogati a livello locale con grande attenzione per le fasce più deboli. Tutto questo in alternativa alle soluzioni proposte dal governo Berlusconi di taglio lineare alle detrazioni fiscali. Noi abbiamo le nostre proposte e queste sono state presentate in bilanciamento del sistema fiscale che grava troppo sul lavoro e su famiglie e poco sui patrimoni, gli immobili e sull’evasione fiscale”.
La riforma delle pensioni. Su questo si registrano posizioni differenti tra il responsabile economico del PD, Fassina che dice no e il vicesegretario Enrico Letta che sembra molto più disponibile. “Queste domande non si farebbero mai al Partito Democratico americano. Non è che Kerry, Clinton e Obama la pensano sempre nella stessa maniera. Si discute e dopo si stabilisce una linea politica. È molto agevole trovare la posizione del PD sulle pensioni. Noi consideriamo un’area flessibile di uscita dal lavoro tra i 62 e i 70 anni con meccanismi di incentivazione e disincentivazione. Tutto quello che si ricava da questa flessibilità deve essere portato a sostegno della previdenza dei giovani. Questa è la posizione del PD. Siamo in attesa di capire come potrà essere definito l’intervento del governo e siamo pronti a discutere secondo questo criterio in Parlamento. Non pretendiamo che questo governo faccia il 100% di quello che faremmo noi, però le nostre idee saranno al confronto nella sede parlamentare. È questa la nostra impostazione: accettiamo di discutere del tema delle pensioni ma pensiamo che questo tema possa essere affrontato con una logica di flessibilità attraverso meccanismi di convenienza in uscita. Ho apprezzato che il Presidente del Consiglio Monti abbia inteso riaprire un confronto con le forze sociali sulla base dell’accordo del 28 giugno dopo anni nei quali si è puntato sulla divisione. Io mi aspetto che questioni come queste vengano affrontate e impostate nel dialogo sociale”.
C’è da parte dei sindacati una disponibilità dichiarata verso quanto farà questo governo. Ma resta spinoso l’argomento del mercato del lavoro. Monti vuole incontrare le parti sociali e questo ben dispone. “Quello è il punto. Tutto deve essere affrontato con il dialogo sociale. Quanto alla discussione parlamentare, anche in questo caso abbiamo posizioni e documenti approvati sul tema del mercato del lavoro. Noi
operiamo sostanzialmente perché ci sia una progressiva unificazione dei diritti di base dei lavoratori. Non drammatizziamo il tema dell’Articolo 18 perché il 95% delle imprese italiane non è sottoposto all’Articolo 18. Andando alla sostanza e non alle ideologie, se si vuole incominciare ad unificare il mercato del lavoro bisogna che un’ora di lavoro stabile costi un po’ meno e un’ora di lavoro precario costi un po’ di più. Questa è la nostra idea. L’eccesso di precarietà finisce per rovinare le esistenze e per dequalificare il mercato del lavoro. Questo si ovvia sia con delle norme, sia con elementi di convenienza e di costo. Noi abbiamo elaborato idee perché questo sistema dei costi sia più favorevole alla stabilità dell’impiego. Io ti do la flessibilità, ti do una quota di precarietà, però almeno tu mi paghi un po’ di più. È impensabile di aggiustare con interventi di natura fiscale la prospettiva pensionistica se questa non parte da un salario decente quando si è giovani”.
Il governo è composto da tecnici e Monti ha preso tempo per nominare viceministri e sottosegretari rigorosamente tecnici. “Riconsideriamo quanto è successo: in dieci giorni abbiamo cambiato l’universo della situazione italiana e lo abbiamo fatto nelle condizioni che tutti conoscono di un lungo scontro politico. Definimmo e abbiamo tenuto ferma la posizione del PD che puntava ad un’autorevole presenza tecnica perché la tensione politica non imbarazzasse questa soluzione. Ora è chiaro che siamo di fronte ad una transizione e la grande partita sarà giocata con le elezioni. Il presidente del Consiglio è una persona saggia e accorta, farà le sue scelte e, se riterrà, ascolterà la nostra opinione. Certamente c’è un problema di raccordo con il Parlamento: se le figure tecniche e autorevoli che si possono trovare a livello di viceministri e sottosegretari avranno una certa attitudine, magari maturate in precedenti esperienze di dialogo con il Parlamento, tutto risulterà più facile. Noi siamo intenzionati a favorire questa prospettiva”.
È difficile essere collaborativi con persone con cui fino al giorno prima si discuteva anche in modo aspro? “Per noi l’Italia viene prima di tutto. Per l’Italia si può mandare giù anche qualche rospo. Siamo in una situazione atipica: non c’è una larga maggioranza, non c’è una larga coalizione, non c’è un governo d’unità nazionale. C’è un governo di impegno nazionale rispetto al quale ognuno si prende le proprie responsabilità. Noi non mettiamo condizioni ma non accettiamo che altri le mettano. Si discute in Parlamento su quello che dobbiamo fare per salvare il Paese. Se si dice no al fatto che chi ha di più deve dare di più, io non sono d’accordo. Stavolta lo sforzo deve essere fatto da tutti ma , ripeto, chi ha di più deve dare di più e non solo per equità ma perché altrimenti il Paese non ce la fa. Non mettiamo pregiudizi, blocchi e condizioni”.
Torniamo in Europa. Domani inizia il tour di Monti. Nel Pdl dicono che nonostante le dimissioni di Berlusconi, lo spread rimane alto. Secondo lei ci sono anche delle responsabilità di Germania e Francia? “Abbiamo due problemi: uno è legato al venir via dal fronte più esposto della crisi e questo incomincia a vedersi; l’altro, quello principale, è legato alla politiche delle destre in Europa che negli ultimi anni sono state completamente sbagliate. Ci troviamo davanti ad un’Europa azzoppata che non riesce a fare una politica comune seria per affrontare il problema del debito pubblico e degli spread. È cominciato con la Grecia. Per non aver voluto dire va bene paghiamo noi, garantiamo noi e poi facciamo i conti, per egoismi nazionali e chiusure politiche e
culturali, si è lasciato che l’infezione si propagasse. E la Grecia che fa il 3% del Pil europeo è diventata un problema che ha contagiato tutti. Ora bisogna assolutamente invertire questa logica: l’Europa deve essere l’Europa. L’Euro va benissimo, è l’Europa che non va bene. Mi auguro che con il nuovo profilo del governo italiano si sia in condizione di porre anche questo problema mentre facciamo i compiti a casa senza che nessuno ci manda le letterine. E dobbiamo anche dire in sede europea che cosa va cambiato nelle politiche dell’Unione, far fronte comune sul serio, se no non si salva nessuno”.


Non tutto sarà come vuole il PD. Non sarà il governo del PD. Ma l’Italia ha ripreso il suo cammino.

Oggi il governo del presidente Mario Monti ottiene la fiducia anche della Camera dei deputati. Non è il governo del Pd. Non è il governo delle larghe intese. E nel discorso programmatico del presidente Monti ci sono anche interventi che possono non piacere al Pd. Ma un fatto è incontrovertibile. Si è chiusa una pagina brutta della storia italiana. E la rabbia manifestata ieri da Berlusconi e dalla Lega Nord sono la testimonianza più chiara e lampante di questa realtà. Il cammino dell’Italia è ripreso. Non sarà facile. La crisi internazionale è drammatica. I ritardi e gli errori accumulati dal governo della destra hanno provocato guasti che non sarà semplice rimediare. Ma il paese ha voltato pagina. Sarà una prova anche per il Pd.
Da Europa. Articolo di Anna Finocchiaro, presidente del gruppo parlamentare del Pd al Senato. “Siamo stati ieri protagonisti di un evento politico e istituzionale il cui solo precedente, nella storia repubblicana, è il governo Dini del 1995, “del Presidente”, interamente composto da personalità non politiche, non parlamentari. Un evento che da oltre un anno auspicavamo, alla cui produzione abbiamo da tempo lavorato nelle sedi politiche e parlamentari. Se oggi siamo tutti impegnati per questo fine, il primo ringraziamento va al Presidente Napolitano, alla sua paziente saggezza, alla sua lucida determinazione, alla sua lungimiranza. La richiesta pressante del Pd per la composizione tecnica del governo è stata connessa all`impegno ed alla convinzione con i quali sosterremo questo esecutivo. Non si poteva consentire, infatti, che pesassero le conseguenze della vicenda politica appena trascorsa, con le dimissioni del presidente Berlusconi, segnata da forti tensioni tra le forze politiche. E non si poteva consentire che i riflessi di quelle tensioni, il loro perdurare o ridestarsi, inquinassero lo sforzo autentico che tutti stiamo facendo, assumendo una comune responsabilità nell`interesse dell`Italia. E’ indubitabile che sia estranea all`esperienza politica del bipolarismo italiano questa chiave che sperimentiamo per affrontare ciò che ci attende e uscire dalla seria crisi che grava sul paese. E che non sia facile, per partiti che sino a qualche giorno fa si sfidavano sul terreno politico e parlamentare, sostenere la stessa esperienza di governo. Come fare, dunque? Il primo passo è stato quello di approvare ieri, con la fiducia, la relazione programmatica e che ha trovato nella stessa composizione del governo, nella qualità, autorevolezza, competenza e responsabilità civica di ciascuno dei ministri nominati ulteriore, forte, ragione di consenso. Ma il voto di ieri è, appunto, un inizio. In seguito, occorrerà guardare avanti e cercare, ogni volta, e con testarda ricerca, di stringere con decisione sull`oggettività di ciascuna questione, di esercitare il massimo di laicità riformista. La Costituzione, che tutti riconosciamo, è il luogo entro i cui limiti dobbiamo inscrivere le nostre decisioni. E dunque, non ci potrà essere riforma fiscale senza principio redistributivo e progressivo, né sviluppo del paese fuori da un’idea di coesione nazionale, né ridisegno del meccanismo di accesso alle opportunità economiche che produca diseguaglianza, né lavoro senza dignità. Noi siamo l’Europa, ha detto Monti nell`aula del senato. Io qualche giorno fa, sempre a palazzo Madama, ho detto «noi siamo europei».
Dall`Europa ci sono venuti forza e soccorso. Se ne soffriamo i limiti, rintracciamo anche in noi stessi la responsabilità. Con il governo Monti sappiamo che riprenderemo la strada dell’integrazione e del nostro impegno, senza esitazioni e senza complessi. E condividiamo pienamente questa scelta. Finora i protagonisti sono stati il presidente della repubblica e il presidente Monti. Ora rientra in campo il parlamento. Questa è una repubblica parlamentare che ha subito, negli ultimi anni, un oltraggio che oggi tutti avvertiamo e che trova nella legge elettorale vigente le sue ragioni. La politica ha sopravanzato la Costituzione, la prassi ha tramutato la forma. Ma il “senso” del parlamentarismo, la consapevolezza profonda del dovere di rappresentanza, la forza del parlamento resistono e possono essere intatti. Perché è il momento e perché è il nostro dovere. Io credo che questo parlamento debba chiedere al nuovo premier Monti un impegno: quello di rispettare il parlamento, di considerarlo il suo primo, potente, alleato. Restaurare la forza e l`autorevolezza delle camere è il consistente contributo che noi daremo alla forza delle decisioni del governo, alla forza dell’Italia. Credo che queste considerazioni facciano giustizia di molte superficialità diffuse che hanno creduto di identificare il governo Monti con un algido esecutivo di “migliori”, che ha fatto fuori la politica e sospeso la democrazia. Io penso esattamente il contrario. E penso anche che, se saremo all`altezza, dopo niente sarà come prima. Né i partiti, né le relazioni politiche, né il parlamento, né l`Italia. Una sfida entusiasmante, di quelle che solo un grande paese e vere classi dirigenti sanno cogliere. Questo, per nostra parte, e per nostra responsabilità, come Partito Democratico, offriamo agli italiani, con il consenso, la lealtà e la collaborazione del nostro gruppo al governo Monti”.


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