Bamboccioni, sfigati e monotoni, ma sono proprio così?
Pubblichiamo di seguito una nota del sen. Paolo Giaretta del PD sull’argomento bamboccioni, sfigati e monotoni.
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Viene spontaneo metterli in fila. I bamboccioni del compianto Ministro Padoa Schioppa, gli sfigati del sottosegretario Martone, ed ora i monotoni del nostro Presidente del Consiglio Mario Monti.
Certo le battute possono essere un modo efficacie di comunicare, alleggeriscono il discorso pubblico e lo rendono meno noioso. E tuttavia vanno impiegate con grande prudenza quando possono riguardare autentici drammi sociali: la mancanza di lavoro, le sconfitte della vita. L’eccesso di incertezza e precarietà.
Oltretutto devo dire francamente che sono battute appropriate se riguardano una parte del paese, quella di una borghesia affluente che può offrire ai propri figli tutte le occasioni di una istruzione privilegiata, di una qualità della vita elevata, di una introduzione nel mondo del lavoro. Allora si possono giustificare queste battute. Ma non tutta l’Italia è così e per quella parte d’Italia sono battute che appaiono fuori di luogo.
E tuttavia indicano problemi veri che non si possono scansare.
Sfigato chi si laurea a 28 anni. Offendiamo gli studenti lavoratori, chi comunque fatica, non teniamo conto della precarietà e insufficienza delle strutture universitarie? Tutto vero ma concentriamoci sul fatto soggettivo: un giovane che esce a 28 anni da un corso di studio da cui dovrebbe uscire a 23 anni accumula un ritardo nella vira lavorativa che rischia di non recuperare più. Far finta di non saperlo, far finta di ignorare che la maggior parte dei laureati in psicologia, giornalismo ed altre amenità rischiano di trascinarsi per tutta la vita in una precarietà senza uscita. Occorre che vi sia un più stretto rapporto tra studi e sbocchi professionali e una più ferma convinzione che gli anni dell’università sono anni preziosissimi da non disperdere.
I bamboccioni purtroppo hanno motivazioni molto diverse. Lo sono certamente se stanno in una buona famiglia borghese che offre loro studi di qualità, vacanze intelligenti, divertimenti ben pagati e ritardano l’uscita dalla famiglia per una comodità di una vita senza pensieri. Non lo sono certamente se aspirerebbero a volare con le proprie ali ma non possono farlo prigionieri di una precarietà che gli impedisce di farsi un progetto di vita. Eppure anche qui c’è qualcosa che non possiamo non vedere: da un lato 2 milioni di giovani scoraggiati che non studiano, non lavorano, non cercano un lavoro, dall’altro un esercito di stranieri che trovano un lavoro nel nostro paese. Non tutti lavori precari e senza tutele.
La battuta più infelice mi appare francamente quella del Presidente Monti. Certo anche qui è facile dirla applicata a chi ha la possibilità di cambiare lavoro, di affrontare una progressione di carriera e vi rinuncia per pigrizia o per ricerca della vita monotona. Ma la verità e che il posto fisso sta in cima ai desideri di una società stressata dalla precarietà e che ben vorrebbe cambiare se un lavoro ce l’avesse e se ne potesse avere uno di migliore. E tuttavia il tema che il mondo del lavoro non è più quello del lavoro della mia generazione, in cui era normale avere uno o al massimo due datori di lavoro per tutta la vita lavorativa, va affrontato. Va affrontato però non lasciando soli che subisce la fatica del cambiamento. E’ il tema della inadeguatezza degli ammortizzatori sociali: fortunato chi ce l’ha ma anche chi ce li ha non viene accompagnato nella ricerca di un nuovo posto di lavoro, e spesso le solitudini diventano dramma con la frustrazione di non avere un ruolo e il timore che finita la cassa integrazione non ci sia altro.
Perciò diamoci da fare per affrontare i temi senza troppe battute. Affrontarli vuol dire però essere disponibili a cambiare. La conservazione dell’esistente non li risolve.
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