Il primo vero segno di discontinuità rispetto al governo precedente

di Anna Finocchiaro (1 marzo 2012)

 

Indubbiamente il decreto sulle liberalizzazioni è un significativo progresso nello sforzo di rendere l’Italia un Paese più forte, più competitivo, più eguale nell’accesso alle opportunità economiche, più efficiente nella tutela degli interessi dei consumatori e degli utenti. Si tratta di un provvedimento di liberalizzazioni vasto, che comprende temi strategici per la modernizzazione del Paese: penso alle banche, alle assicurazioni, all’energia, ai trasporti, alle farmacie, alle professioni.
E’ noto che il nostro giudizio positivo sconta alcune insoddisfazioni, prima fra tutte quella del rapporto tra giovani laureati e accesso alle professioni, rispetto alla regolazione di questioni sulle quali abbiamo insistito e che sarebbe stato, a nostro avviso, utile fossero state condivise dal Governo.
E’ evidente, però, che siamo di fronte ad un Governo che governa e ad un Parlamento che svolge la funzione legislativa. Il testo che licenziamo non è quello originario, lo giudichiamo migliorato in molte parti, è il frutto del lavoro parlamentare.
Rivendico al Pd e al mio gruppo parlamentare un ruolo centrale, ed essenziale, in questo miglioramento. Tutto questo fa giustizia di troppo affrettate, per quanto suggestive considerazioni sulla morte della politica e sull’inutilità del Parlamento di fronte alla forza del Governo tecnico.
La politica non è morta, il Parlamento fa bene il suo mestiere e, nel farlo, è il miglior alleato del Governo per far fronte alla crisi, innescare la crescita, investire sulla competitività dell’Italia, mostrare in Europa di cosa sono capaci gli italiani di fronte alle proprie difficoltà ed alle proprie responsabilità.
Dobbiamo pienamente considerare che questo risultato, non scontato nelle condizioni date, possa essere consolidato da una riforma costituzionale e da una nuova legge elettorale che pienamente restituisca al Parlamento autorità e autonomia.
Il provvedimento sulle liberalizzazioni dà un segnale di netta discontinuità rispetto alle politiche del precedente governo, più dei provvedimenti sul risanamento dei conti pubblici. Per il Pd e il suo gruppo parlamentare avanzare sul terreno delle liberalizzazioni è stato naturale. Gli unici precedenti sono quelli di Bersani ministro del Governo Prodi.
E se le ‘lenzuolate’ erano, nella storia politica dei governi italiani, poco più di una isolata parentesi, l’approccio di oggi ci conferma nella serietà e utilità di quella scelta di allora, e ci conforta sul fatto che questo risultato è un dato dal quale l’Italia non prescinderà più.
Anche in questo l’Italia appare un Paese più moderno, efficiente, coinvolto nei mutamenti e attore negli stessi. E questo in una rinnovata relazione con il Paese che lavora, produce, consuma, reclama. E’ cambiato il paesaggio ed è un merito condiviso. E’ cambiato il giudizio dell’Europa sull’Italia e rivendico in questo non solo i meriti del Presidente Monti e del suo Governo, ma anche quelli del Parlamento e dei partiti che lo sostengono, non più forze gregarie, non più forze di complemento.
Altre questioni come il lavoro e il fisco ci attendono. Serie, gravose. Coinvolgono diritti, opportunità, ma anche doveri e responsabilità di chi lavora, di chi produce, di chi vorrebbe lavorare e produrre.



Regime speciale per contribuenti minimi. Mozione a favore delle giovani partite IVA

Di Giampaolo Fogliardi (deputato Partito Democratico)

 

Lunedì (27 febbraio, ndr) sono stato relatore in Aula per la mozione a favore dei giovani con partita IVA, i cosiddetti “contribuenti minimi”.
Si tratta di una platea di oltre 500.000 contribuenti, per lo più giovani al primo lavoro, disoccupati, piccoli imprenditori che avevano intrapreso con entusiasmo la strada imprenditoriale e che ora improvvisamente si trovano di fronte alla terribile sorpresa di un trattamento fiscale e amministrativo capestro per le loro possibilità e i loro programmi.

In base al testo approvato, il Governo risulta, tra l’altro, impegnato ”ad assumere iniziative normative volte ad ampliare la platea dei beneficiari del regime speciale per i contribuenti minimi, in modo da continuare ad esonerare questi soggetti dall’applicazione dell’iva e degli studi di settore; reintrodurre un’imposta sostitutiva dell’Irpef e delle addizionali, in linea con la prima aliquota dell’Irpef; prevedere l’indicazione in dichiarazione di informazioni di struttura d’impresa minime, per evitare di fare entrare nel regime soggetti non propriamente marginali.

La mozione va incontro alle esigenze di tutti quei contribuenti che hanno usufruito delle disposizioni della legge 244/2007 con un regime agevolato che prevedeva una tassazione del 20% , l’esenzione dall’ IRAP e dagli studi di settore, franchigia IVA, semplificazione degli adempimenti e che ora, in virtù della recente legge n. 111 del luglio 2011, entrata in vigore dal 1 gennaio 2012, si sono visti privati di quella normativa di favore, rientrando pertanto nel rispetto di tutte le disposizioni ordinarie.

La mozione è stata approvata all’unanimità, il Governo ha condiviso, e la situazione dovrebbe risolversi presto permettendo a tanti giovani e piccoli contribuenti di dedicarsi ad altri problemi, che purtroppo in questo periodo non mancano.


Che fine ha fatto il quid di Alfano?

Finita la commedia del quid, fatte le sparate necessarie a lisciare il pelo degli elettori della destra, il presidente del Consiglio Mario Monti ha telefonato ieri ad Alfano annunciandogli la convocazione di un incontro per giovedì sera anche con Casini e Bersani per parlare di tutto, lavoro, crescita, ma anche corruzione e Rai. Tutti temi sui quali da giorni i fucilieri del Pdl si sono esercitati contro Bersani per dire che queste cose non rientrerebbero negli obiettivi del governo Monti. E invece l’ha avuta vinta il Pd, perché il ddl anticorruzione (secondo la Corte dei conti l’Italia perde 60 miliardi l’anno di soldi pubblici per questa ragione) deve essere rafforzato e perché la Rai è un’azienda pubblica e sta andando in malora. Ieri è stato respinto il ricorso di Augusto Minzolini contro l’allontanamento dal TG1 e il Pd ha confermato: senza una riforma della governance il Pd non parteciperà alle nomine, il che significa che l’intera responsabilità di quel che verrà deciso ricadrà sul governo.
E’ possibile che nell’incontro di giovedì sera si parli anche di frequenze: scongiurata l’assegnazione gratuita che il governo Berlusconi aveva cucito addosso a Mediaset, il Pd lavora per scongiurare un’asta al ribasso. Secondo Mediobanca, quelle frequenze varrebbero ben più di un miliardo di euro.


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